Le banche perdono reputazione ma non il vizio …

http://www.corriere.it/inchieste/reportime/economia/prodotti-finanziari-trappole-clienti/e3763554-caaa-11e1-bea1-faca1801aa9d.shtml

E dire che il suo sogno, dopo aver studiato, era quello di poter entrare in banca e fare proprio il consulente finanziario – dice il gestore patrimoniale della Deutsche Bank, che ci ha fornito il prodotto e vuole restare anonimo.

Non l’aveva proprio messo in conto che sarebbe finita così. Il sistema del credito era nato per raccogliere i soldi dalla clientela – racconta – per prestarli al mondo delle imprese cercando di stimolare la crescita economica e lo sviluppo industriale del paese. Invece proprio sui clienti le banche creano i propri utili, piazzando prodotti derivati all’interno di obbligazioni e contando sul fatto che i clienti non hanno in generale una cultura finanziaria per poter capire di che cosa stiamo parlando.

Ma il suo lavoro non è dare consulenze finanziarie ai clienti e gestire i loro patrimoni?

In teoria. In pratica la banca periodicamente ci assegna dei budget su dei prodotti preconfezionati dall’Investment center e noi dobbiamo collocarli ai clienti in un periodo di tempo tra uno e tre mesi, a seconda del prodotto. Quindi non c’è una vera consulenza dietro questo tipo di attività. Quando arriva il cliente apro l’armadio e cerco di orientare le sue scelte non tanto su quello che serve a lui, quanto piuttosto su quel che serve alla banca, anche se quel che propongo non è quasi mai un prodotto adatto per soddisfare il suo bisogno.

E che cosa le impedisce di fare veramente il consulente, di spiegare al cliente quali rischi ci sono e di consigliarlo al meglio?

Se io dovessi spiegare tecnicamente il prodotto al cliente probabilmente non lo acquisterebbe, io riceverei dal Management insulti di vario genere formalizzati via mail piuttosto che a voce, e allora si dà una botta al cerchio e una alla botte: su tre prodotti fatti acquistare al cliente, uno è quello che serve a lui e due sono quelli che servono alla banca. E così in parte ho fatto consulenza ma essenzialmente ho fatto il risultato economico per la banca.

E se invece facesse la consulenza a favore del cliente?

Gli direi: quale rischio vuole assumere? Bene! A parità di questo rischio ho trovato il migliore rendimento sul mercato. Questo vuol dire fare consulenza e non dire ecco questo è il prodotto, è il migliore che c’è in giro, quando magari bisognerebbe confrontarlo con almeno quattro o cinque prodotti per dimostrare al cliente che quello è il migliore.

E se lei da domani si mettesse a fare il lavoro in questo modo che succederebbe?

Probabilmente durerei massimo sei mesi e poi sarei rimosso dall’incarico per essere assegnato ad altre funzioni. Oggi gli istituti di credito hanno la mission di fare risultato a breve termine, il più alto possibile, anche perché il management sa che il proprio incarico dura dai quattro agli otto anni e allora massimizzazione del risultato a breve e poi quello che succede succeda.

Che tipo di sollecitazioni ricevete per fare questo risultato a breve termine?

Mail, telefonate continue, che vanno anche al di là dell’orario di lavoro, riunioni in cui si va ad additare quello che non porta risultati a tutta la platea, facendo invece gli applausi a chi ha portato i risultati senza approfondire ed analizzare in che modo ci è riuscito. Sto constatando che sempre più persone che fanno questo mestiere ricorrono a psicofarmaci per far fronte agli stati d’ansia. Stare perennemente in ansia solo per arrivare a ottenere un bonus di soldi più o meno importante ha portato sicuramente fuori strada il sistema bancario. Quando ho iniziato a lavorare c’erano i sistemi incentivanti ma erano veramente relativi, non spostavano lo stipendio alla fine del mese. Oggi che i sistemi incentivanti portano ad avere dei bonus che possono moltiplicare per tre lo stipendio, beh chi è senza scrupoli passa sul cadavere di chiunque.

Ci spieghi in che modo i prodotti finanziari derivati possono essere una trappola per il cliente.

I derivati nascono innanzitutto come prodotti di copertura dal rischio ma sempre più l’ingegneria finanziaria li sta utilizzando come vere e proprie scommesse. Il problema – quando un cliente compra un prodotto – è vedere chi fa la scommessa e chi la subisce. Come con il prodotto che vi ho mostrato, con un’obbligazione senior di Deutsche Bank come sottostante legata a un derivato, un credit default swap, dove praticamente il cliente a fronte di un tasso che riceve dalla banca leggermente più alto del mercato, vende allo stesso tempo a Deutsche Bank un credit default swap sull’Italia. Questo significa che il cliente si assume il rischio di un ipotetico default o ristrutturazione del debito della Repubblica italiana per ricevere 5/10 punti base di rendimento su base annua su quella obbligazione. Capite benissimo che se fornissimo spiegazioni dettagliate ai clienti molti non sottoscriverebbero obbligazioni di questo genere.

Ha visto traballare in maniera seria il patrimonio dei suoi clienti?

È oramai sempre più frequente. Tant’è che oramai anche dall’alto cominciano a percepire che nel corso degli ultimi anni si è esagerato e si stanno ponendo dei tetti alla concentrazione di determinate posizioni per cercare di minimizzare eventuali perdite future. Però il grosso del lavoro è stato fatto e qualora dovesse succedere qualcosa di grave nei mesi e negli anni a venire, i patrimoni dei nostri clienti connazionali prenderebbero fuoco, con un impoverimento inevitabile dell’economia.

Quello che in questa storia è certo è lo stato d’animo del gestore patrimoniale e il prodotto finanziario che ci ha mostrato, analogo del resto a tanti prodotti strutturati complessi venduti da altre banche.

Prodotti veramente di difficile lettura i derivati, se pensiamo che pochi giorni fa il pm milanese Luigi Orsi – che vuol vederci chiaro sull’effettiva consistenza patrimoniale di Unipol chiamata a salvare Fonsai con una superfusione che va da Premafin fino a Milano Assicurazioni – ha scritto alla Consob per sollecitarla a verificare la perizia di Ernst & Young proprio su 5 miliardi circa di titoli strutturati in pancia a Unipol.

Ma Consob non è entrata nel merito dell’analisi quantitativa richiesta e ha autorizzato la pubblicazione del prospetto informativo di Unipol per la ricapitalizzazione – la precondizione delle fusione – con i risultati delle perizie che evidenziano i rischi. Come dire: “per chiedere soldi al mercato è sufficiente fornire l’elenco di tutte le tue malattie”.

Ma il ruolo della Consob è attenersi alla forma o entrare nel merito del dettaglio analitico dei veicoli e dei derivati? E se un domani quel portafoglio di strutturati si rivelerà un problema? La Consob potrà sempre dire che stava indagando. Questo per quanto riguarda il mercato degli investitori professionisti. E per la protezione del risparmio delle famiglie? La Consob ci pensò nel 2009, con la trasparenza dell’informazione. Ma quella regolamentazione è ancora ferma e lo scenario sulla probabilità del rischio di un prodotto finanziario strutturato con derivati – che nel video ha sviluppato l’analista indipendente – a oggi nessuna banca lo presenterà mai ai propri clienti. Sappiamo che alla base delle decisioni del mercato c’è la fiducia nelle istituzioni di vigilanza. Cosa potrebbe succedere se questa fiducia comincia a venire meno?

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