Lavorare troppo senza mai dire no può portare al workaholism, una vera dipendenza da lavoro. Scopri cos’è, come si manifesta e perché facciamo sempre più fatica a dire di no.
Hai presente quando spegni il computer, ma poi lo riaccendi perché ti è venuto in mente che non hai ancora risposto a quella mail? Quella che inizia con: “Scusami se ti disturbo a quest’ora” e finisce con “per domani mattina sarebbe perfetto”?
E allora ci ricaschi.
Ti rimetti seduto, apri di nuovo il file, rientri nel loop. Perché non sai dire di no. Perché non vuoi deludere. Perché “ci metto solo un attimo”…
E poi quell’attimo diventa un’ora. Una sera persa. Un altro no che dici a te stesso per senso del dovere.
Benvenuto nel club non esclusivo dei workaholic: quelli che hanno perso di vista il confine tra il fare e l’essere.
E con esso, spesso, anche la libertà.
Cos’è il workaholism
Il termine workaholism nasce nel 1971 dallo psicologo americano Wayne Oates, che lo coniò unendo le parole work (lavoro) e alcoholism (alcolismo), per descrivere una vera e propria dipendenza da lavoro.
Esatto: dipendenza.
Non si tratta quindi di essere appassionati o motivati. Il workaholic prova un bisogno compulsivo di lavorare anche quando non ce n’è reale necessità, sacrificando riposo, relazioni, salute e tempo libero. E spesso, proprio come accade con altre dipendenze, non è nemmeno consapevole del problema.
Nel tempo, questo comportamento può portare a:
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ansia e insonnia,
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esaurimento fisico ed emotivo (burnout),
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problemi relazionali e familiari,
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e anche difficoltà economiche, paradossalmente, perché si perde lucidità nelle scelte e nella gestione del denaro.
In Giappone esiste persino un termine per definire la morte per eccesso di lavoro: karoshi.
Eppure, in molte culture occidentali, il workaholism è ancora visto come una “virtù travestita”, un segno di dedizione e successo.
E tutto questo ha una radice profonda: facciamo sempre più fatica a dire di no.
Il lato oscuro della produttività
Siamo cresciuti con l’idea che più si lavora, più si vale. Che chi si ferma è perduto. Che mollare è da deboli.
E così, senza accorgercene, siamo diventati dipendenti dal fare. Dalla performance. Dalla disponibilità totale.
Un problema cresciuto insieme alla digitalizzazione, che ci tiene sempre connessi.
Dire “no” oggi sembra quasi un atto antisociale. Ti senti in colpa. Ti senti fuori posto. Hai paura di sembrare pigro, disinteressato, poco ambizioso.
A volte ti senti emotivamente sotto scacco.
Non c’è una minaccia concreta, nessuno ti obbliga davvero.
Ma dentro di te si affollano domande come:
- “Se rifiuto, penseranno che non sono all’altezza?”
- “E se la prossima volta non mi chiamano più?”
- “E se perdo la fiducia, il ruolo, l’opportunità?”
E così il tuo sì non è più una scelta libera, ma un bisogno: di non deludere, non mancare, non sembrare meno. Un gesto automatico per tenerti in pista. Per non essere escluso. Per sentirti abbastanza.
Il problema è che non dire mai di no ci consuma.
A furia di dire sì a tutto, stiamo dicendo no a noi stessi.
Dove finisci tu, e dove comincia il resto?
Il punto non è lavorare tanto, ma non sapere dove finisci il lavoro e inizi tu.
Il problema è quando il tuo telefono diventa un’estensione della tua coscienza e l’agenda l’unico spazio in cui ti sembra di esistere.
E allora ti ritrovi a dire “sì” a tutto:
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al cliente che ti chiama la domenica pomeriggio,
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al capo che ti chiede di rifare tutto da zero a mezzanotte,
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alla riunione fuori orario che “dura solo 5 minuti” e ne prende 90.
E il denaro?
Paradossalmente, più lavori, meno lo godi.
A volte spendi per compensare la stanchezza, i sensi di colpa, la mancanza di tempo.
Non investi davvero su di te, ti premi con qualche acquisto inutile e ti dici: “Me lo merito, dopo tutta questa fatica”.
Ma la fatica non è un piano finanziario. E nemmeno un progetto di vita.
Come uscire dal workaholism?
Dire no non è egoismo. È sopravvivenza. È strategia.
È il primo passo per riprenderti il controllo, le energie… e sì, anche i tuoi soldi.
Ecco 3 confini semplici (ma rivoluzionari) da mettere subito in pratica:
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Spegnere le notifiche fuori orario
Se il tuo smartphone comanda la tua vita, è ora di fare un reset. Il silenzioso è tuo amico.
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Pianificare tempo per te (e difenderlo)
Scrivilo in agenda. Un’ora per leggere, camminare, cucinare, respirare. È un impegno. Con te.
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Dire no senza giustificarsi troppo
Non serve spiegare ogni volta. “Mi spiace, ho già un impegno” è una frase completa. Anche se l’impegno è il tuo benessere.
Dire no oggi, per dire sì a una vita più equilibrata
In un mondo che ti vuole sempre disponibile, imparare a dire no è un atto ribelle.
Ma anche un atto di amore.
Verso di te. Verso i tuoi sogni. Verso la persona che vuoi diventare.
Non siamo nati per lavorare fino a sfinirci, ma per costruire qualcosa che dia significato alla nostra esistenza.
Se ti riconosci in queste righe, ti auguro di trovare più spazio per te. E di avere il coraggio di proteggerlo.
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