Sono settimane che il nostro listino è sulle montagne russe, che si sente parlare di spread anche al bar, e di quotazioni dei BTP come di un parente lontano che se la passa male.
Cosa sta succedendo?
Sono già diversi anni che investire in titoli di Stato non conviene più perché i rendimenti sono praticamente nulli.
Al di là dello scarso rendimento però la nostra esperienza non ci fa pensare ai titoli di Stato come a strumenti rischiosi.
Invece ora i giornali non fanno che ribadire declassamenti di rating e la possibilità che i titoli del nostro debito siano considerati junk, ovvero spazzatura.
Cosa significa tutto questo, perché fa paura ai mercati e perché, forse, dovrebbe farla anche a noi?
BTP: come funziona
Partiamo, come sempre, da capire come funzionano le cose.
Sappiamo che i titoli di Stato sono di fatto debito, cioè l’impegno che lo Stato si prende con risparmiatori o investitori istituzionali di restituire a una determinata scadenza l’importo stabilito. In cambio, per il prestito ottenuto, lo Stato paga un interesse.
Nel caso dei Buoni del Tesoro Poliennali (BTP) l’interesse è una cedola fissa pagata semestralmente.
Per i Certificati di Credito del Tesoro (CCT) la cedola è invece a tasso variabile (in base a parametri definiti e legati all’andamento di mercato).
I titoli di Stato possono essere comprati in asta, ovvero quando vengono emessi per la prima volta, oppure sul Mercato Telematico delle Obbligazioni (MOT) al prezzo del momento.
Il rendimento dei titoli dipende quindi dall’insieme di due elementi:
- il valore della cedola (interessi che ci vengono pagati semestralmente)
- il differenziale di prezzo tra il momento dell’acquisto (che sia in asta o sul mercato) e il valore nominale che viene rimborsato alla scadenza (100)
Visto che alla scadenza, qualunque sia stata la vita del nostro titolo, ci viene restituito il valore nominale del capitale investito, cioè un prezzo pari a 100, se io acquisto il mio titolo a meno di 100 (sotto la pari), quel differenziale incrementa il mio rendimento complessivo.
Un esempio ci aiuta a capire meglio.
BTP: quotazioni e il perché dello spread
Il BTP-01ST38, il famoso BTP decennale (scadenza 1 settembre 2038), ha una cedola annuale del 2,95% e quota intorno a 88,00. Il vantaggio di prezzo fa sì che il suo rendimento effettivo sia il 3,44% a condizione che io lo tenga fino alla scadenza quando mi sarà restituito al valore di 100.
Per sua natura, il BTP avendo le cedole fisse, ha solo un parametro che può oscillare sul mercato, ovvero il prezzo, ed è per questo che in momenti di incertezza subisce variazioni più ampie.
Più aumenta l’incertezza nei confronti dello stato italiano, più il prezzo del BTP scende, generando una perdita per chi avesse la necessità di vendere prima della scadenza, ma offrendo un maggior rendimento per chi volesse comprare in quel momento.
La differenza tra il tasso di rendimento del titolo decennale di un Paese (il BTP per l’Italia) rispetto all’equivalente tedesco (il Bund) è il famigerato spread.
Quindi lo spread altro non è che il risultato matematico di due quotazioni che esprimono in realtà la qualità dei conti e l’affidabilità di un paese.
BTP: qual è il rischio attuale
Vista la convenienza dei rendimenti dei nostri titoli, rispetto ad esempio a quelli tedeschi, si può facilmente pensare che oggi investire in BTP sia interessante. Tanto…basta tenerli fino alla scadenza.
L’unico motivo per cui alla scadenza rischiamo che non ci venga restituito il valore nominale è il cosiddetto rischio emittente. Il rischio cioè che lo Stato che emette il titolo non sia in grado di rimborsare ai risparmiatori o agli investitori istituzionali i soldi che gli hanno prestato. Quello che succede in caso di default, di fallimento.
Potrebbe succedere anche all’Italia?
In questo momento l’Italia è considerata poco affidabile e dal futuro fumoso e incerto.
Lo dicono le agenzie di rating, per quanto possiamo considerarle emanazione di un sistema che ha dato pessima prova di sé in passato, ma lo dicono soprattutto i nostri conti pubblici.
Ne abbiamo parlato anche nell’articolo sull’analisi di bilancio e il discorso è ancora attuale.
Oggi, oltre a valutare il rischio default, cioè chiederci se noi siamo tranquilli a prestare soldi al nostro Stato, dobbiamo considerare un rischio in in più.
Se tutte e quattro le agenzie di rating declassassero l’Italia e i titoli del nostro debito venissero considerati junk (spazzatura) allora i Fondi di Investimento, gli ETF e tutti quei gestori che hanno ricevuto il mandato di investire denaro con un rischio bilanciato, sarebbero costretti a vendere perché non potrebbero per regolamento mantenere nei loro portafogli titoli spazzatura.
Questo significherebbe miliardi di titoli venduti, quotazioni in caduta e un enorme problema di liquidità da affrontare.
Per qualcuno, particolarmente speculativo, il crollo si tradurrebbe in un’occasione di acquisto, ma per chi ha già titoli in portafoglio significherebbe non poterli vendere se non incassando una consistente perdita e sperare in un recupero fino alla scadenza.
Da buoni italiani siamo stati cresciuti da una generazione nutrita a soldi tenuti per metà sul conto corrente che non si sa mai, e per l’altra metà investita in BOT, CCT e BTP.
Negli ultimi 15 anni, solo a causa dei rendimenti sempre più in ribasso, ci siamo spostati su forme alternative di investimento. Senza una sufficiente preparazione finanziaria (sembra che siamo l’ultimo paese dell’Unione a educazione finanziaria), seguendo vari consigli o mode, qualche delusione è arrivata.
Ora dobbiamo fare i conti sul fatto che i nostri beneamati titoli di Stato si sono trasformati in uno strumento altamente speculativo e rischioso e, come tale, va valutato attentamente.
Forse a questo siamo meno abituati.
Giorgia Ferrari
6 anni fa
Bell’articolo…mi ha portato a riflettere!!!
Ma tutto quello che hai descritto e che sta succedendo quanto è vicino alla realtà???
Io non ho le competenze e gli strumenti per rispondere però se mi metto alla finestra e osservo la realtà dei fatti della mia piccola zona cosa vedo?
Vedo aziende piccole che diventano dei colossi, vedo agenti immobiliari che vendono molte più case di qualche anno fa, architetti che progettano nuove case, imprese che aprono cantieri, sempre più macchine di lusso (soprattutto tesla), ristoranti mai vuoti e molto altro.
Io non comprendo se sono io che non sto capendo più nulla, oppure se la situazione socio-politico-finanziaria non rispecchia assolutamente la realtà dei fatti.
Chiedo lumi, magari ho le fette di salame sugli occhi e non mi accorgo!
Una buona vita!
6 anni fa
Ciao Andrea,
lo scollamento su cui stai riflettendo credo sia determinato da diversi aspetti che qui posso solo accennare perché meriterebbero ognuno un approfondimento a parte.
Prima di tutto, la realtà che vedi tu e che comprendo bene perché molto simile a quella che vedo anch’io quando sono nella mia città, è soltanto una parte del Paese. Non è tutta la realtà possibile. Ci sono parecchie persone in difficoltà, aziende che per un milione di motivi non riescono ad andare avanti e case pignorate in asta.
Secondo, i conti pubblici non sono determinati dalla somma delle ricchezze individuali di ciascun cittadino.
Immagina l’Italia come una grande azienda. Un’azienda può avere al suo interno dirigenti super ricchi, impiegati benestanti e operai che arrivano a fatica a fine mese. Non è la somma dei loro patrimoni a fare quadrare i conti della società. Caso mai, se la società non si sa ben gestire e continua a far debiti su debiti per pagare servizi o stipendi, sarebbe bene che il personale cercasse di correre ai ripari. O chiedesse conto delle scelte sbagliate.
Il terzo aspetto credo sia più sociologico e legato ai comportamenti nella gestione del denaro.
Se pensiamo a come viene speso il denaro possiamo identificare quattro grosse aree:
– necessità
– risparmio
– istruzione
– svago
Qualche decennio fa, per i nostri genitori, subito dopo la necessità era fondamentale il risparmio “perché non si sa mai”, poi l’istruzione “per dare ai figli un futuro migliore” e, se avanzava qualcosa, potevano pensare allo svago.
Oggi le priorità sono diverse, non credi?
Gio